lunedì 18 gennaio 2016

Il “cupolone di Palermo”, nel siciliano da salvare di Lino Buscemi

“Se non si corre ai ripari, la lingua siciliana si avvia, come tutte le umane cose, verso un progressivo ed inevitabile declino”. È quanto scrive lo scrittore, editorialista, umorista siciliano, Lino Buscemi in un pezzo uscito sul giornale La Repubblica dal titolo “
Il Cupolone di Palermo che compare negli antichi detti”. Un nuovo grido d’allarme per salvare il salvabile, per non fare estinguere una lingua e non un semplice dialetto.   

“Le più recenti statistiche – scrive Lino Buscemi – si incaricano di "certificare" che la percentuale degli abitanti dell'Isola che sempre meno parla alla maniera di Antonio Veneziano, Micio Tempio, Giovanni Meli o di Vincenzo Mortillaro, aumenta a dismisura”.
Però, aggiunge Buscemi, “capita ogni tanto di ascoltare ‘detti’, in un siciliano davvero unico, che chiamano in causa anche luoghi o personaggi un tempo esistenti e di cui oggi non c'è più traccia o ricordo. Chi si ostina, coraggiosamente, a proferire parole in siciliano (con le inevitabili inflessioni delle parlate delle provincie di provenienza) arricchite di riferimenti arcaici ed oscuri? Quasi esclusivamente sparuti anziani in età avanzata”.
E Lino Buscemi riporta un colorito detto pronunciato in un bar di Palermo da un vecchietto: “Avia ragiuni me nannu: sta matina ci l'aiu quantu u cupuluni ri San Giulianu”.

A quale cupola si riferisce?

Per avere la risposta, questo è il LINK del “Cupolone di Palermo” di Lino Buscemi  


* Lino Buscemi è autore di Sconosciuti e dimenticati e con Antonio Di Stefano Signor giudice, mi sento tra l'anguria e il martello (Navarra Editore) 

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